Be happy with what you have to be happy with.

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Un mio amico ha deciso di togliersi da Facebook. Ormai va di moda. Nessuno ammette di esserci ma tutti ci sono. E’ come chiedere in giro chi ha votato Berlusconi… tutti rispondo “Io? Ma scherzi?”…


Posto il suo messaggio di uscita e il mio commento.

Ho sempre attraversato tutti gli strumenti del web con anticipo e ludicità. Laura me ne darà atto. Non sono, almeno in questo senso, uno snob come ha scritto Cafeo (che abbraccio): tutto il contrario. 
Questo immenso reality immondo che è facebook però non solo non lo capisco – o forse lo capisco troppo – ma, soprattutto, non lo condivido.
E’ uno strumento di una potenza immensa. 
Ci sono stati due fatti che mi hanno convinto a prenderne le distanze.

1) Dopo 20 anni, fb mi ha fatto reincontrare i miei compagni di classe;
2) mio padre mi ha chiesto l’amicizia su fb.

Di per se stessi, questi due eventi non significano nulla. Ma ciò che indicano, dicono per me, è una cosa che non potrò mai e poi mai condividere: l’incrocio dell’esistenza con la rete. Anzi, e detto meglio: la produzione d’esistenza da parte della rete.

La faccio breve.
Il mio nick rimane su fb.
Periodicamente lo controllerò.
Non scriverò più nessun intervento.
Allargo al massimo le mie regole di policy su fb.
Tutti i contatti con “XXXX reale” dovranno passare per mail (XXXX@gmail.com).
Come sanno i miei amici più cari, sono immediatamente raggiungibile su altre chat.

un abbraccioXXXX



caro XXXX,

  

  comprendo ma non capisco. vorrei riflettere su alcune cose. punto 1. dici che non potrai mai condividere l’incrocio dell’esistenza con la rete. questa cosa, nel 2009, sarebbe come dire non condivido la corrente elettrica, o le automobili. mi sembra una posizione estrema forse dettata da qualcos’altro. oramai, almeno le persone delle nostre generazioni sono ‘fatte’ di rete. la rete è il veicolo tramite il quale le persone attingono alla conoscenza. la conoscenza è fatta di pensieri, i pensieri sono prodotti dalle persone che vivono la rete. come puoi pensare che l’esistenza non possa incrociare la rete? punto 2. ti togli ma rimani. mmm… mi sarei aspettato qualcosa di più estremo, di più simbolico. così facendo rimani parte del meccanismo solo e soltanto per la morbosa curiosità di fare capolino ogni tanto e sbirciare nelle vite dei tuoi amici. oppure sapere chi ha pensato a te ultimamente.

arrivo al punto.

secondo me, esserci o non esserci su facebook cambia veramente poco. l’utilizzo della rete deve essere sempre filtrato dal cervello, nessuno ci impone niente in questo senso e facebook, come tutti i social network, come tutta la rete, è una nostra scelta. la differenza la fa una cosa sola: il tempo. intendo dire tutto il tempo che, tu o noi, per stare su facebook, togliamo a quella che tu chiami vita reale. il tempo (perso?) trovo che sia l’elemento fondamentale di critica nei confronti della rete. sono sicuro che tu, in questi giorni, controllerai la posta ogni 10 minuti per vedere come la gente del tuo network ha commentato la tua ‘scomparsa’. questo genera una sorta di ‘butterfly effect’ che non migliorerà certo la tua vita stando lontano da facebook. anzi. per un periodo nel parlerai spessissimo e andrai sulla tua pagina ancora più spesso e questo, secondo me, è tempo perso. perchè passivo rispetto alla rete vetrina e non attivo. 

la rete è uno strumento meraviglioso, gente come obama, beppe grillo (voglia o no), ma anche altri più fini intellettuali, scienziati, l’hanno cavalcata creando consenso senza imporre niente. facendosi seguire. io trovo questo meraviglioso ed estremamente democratico.

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Il Corriere della Sera Online ha pubblicato il seguente articolo.

Episodio di veggenza?
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L’altro giorno il mio amico Alberto Angrisano mi ha rivelato che sarebbe comparso all’interno della fiction dedicata a Giacomo Puccini. Non amo le fiction italiane, ma per amor suo ho deciso di vederne una puntata aspettando il suo personaggio. Quello a cui sono andato incontro è stato a dir poco disarmante. Giorgio Capitani, regista con non poca esperienza, mi ha fatto rimpiangere gli odiatissimi trash anni ’70. Il look della fiction è a dir poco ‘vecchio’. Ma attenzione, non ‘saggio’… o ‘maturo’… proprio vecchio. La regia è scandalosa. E vorrei capire perchè. Possibile che un uomo con così tanti anni di cinema sulle spalle abbia potuto girare in quella maniera orripilante una fiction che, per i temi trattati, doveva essere sinonimo di eleganza? Caro Giorgio Capitani, mi spieghi perchè hai usato lo zoom? Perchè, per quale motivo? Per quale necessità estetico narrativa? E’ così brutto che diventa ridicolo. L’uso smodato delle zoomate mi ha veramente innervosito ma non basta. La regia si limita a campo e controcampo, mezzi busti, e qualche totale ogni 20 minuti circa di film. Ignobile. La direzione degli attori è altrettanto ridicola, il doppiaggio (asincrono come se fosse un film neorealista) e le ambientazioni tutte illuminate e prive di chiaroscuri rendono questa fiction fra le più  brutte della storia della tv italiana. 

Ma forse la cosa più grave, che ritengo artisticamente annichilente, è che questa fiction dovrebbe parlare di musica. Avrebbe dovuto seguirne i movimenti, avrebbe dovuto cullare il protagonista ed invece, è relegata a delle scene miserrime prive di qualunque amore. Non c’è mai un momento in cui si vede il rapporto che l’autore ha con le sue note, in cui il protagonista sia nudo con la sua arte, mai.
Ritengo questa fiction un insulto all’intelligenza umana, un crimine contro l’arte (cinematografica e musicale) e mi chiedo come si possa continuare a produrre spazzatura del genere. Non capisco come le fiction italiane debbano essere brutte per forza, visivamente ridicole e prive di qualunque estro. E non è una questione di soldi. Conosco bene i budget di queste produzioni e sono certo che con quelle cifre ci sarebbero giovani in grado di fare dei prodotti veramente di alto livello. Il fatto è che in Italia le fiction non nascono da esigenze artistiche ma politiche. Chi fa le fiction è amico di qualche politico che in cambio vuole inserire i suoi amici nel cast artistico e tecnico. Qualcuno provi a smentirmi.
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Camillle è un gatto. Un gatto speciale. Io amo i gatti, come gli egiziani li adoro e, quando mia moglie mi ha proposto il soggetto di questo corto, mi sono subito innamorato dell’idea. E così l’abbiamo messo in pista. L’idea di base, quella dell’utilizzo di una villa al mare in autunno, è nata ad agosto 2008 grazie anche agli spunti di Filippo Conz mio caro amico, nonchè testimone di nozze, nonchè filmmaker, nonchè centrocampista rifinitore. Poi Eleonora l’ha elaborata e dopo qualche revisione siamo arrivati alla metà di settembre con il soggetto pronto. In un paio di sere ho scritto la prima stesura della sceneggiatura sulla quale abbiamo cominciato a ragionare sia con Eleonora che con Pacio, il produttore esecutivo. Subito ci siamo resi conto che 22 pagine di sceneggiatura non erano uno scherzo. Dopo un primo, sommario, spoglio abbiamo realizzato che i giorni di shooting non sarebbero mai stati meno di quattro e che tutto questo avrebbe avuto un costo non irrisorio. Siamo partiti con l’idea di investire 15k euro. Siamo partiti con l’idea di girarlo bene, al massimo delle potenzialità. Abbiamo contattato il direttore della fotografia, padre di un amico di un nostro amico, il quale ci ha detto: ‘Si può fare’.

Alè!
E siamo partiti. In 45 giorni abbiamo fatto tutto. Preproduzione, casting, sopralluoghi, logistica, revisioni della sceneggiatura e del piano di produzione e tutto ciò che serve. Finchè il 29 ottobre siamo partiti per l’Argentario dove, nei quattro giorni successivi abbiamo girato.
Il tempo che doveva essere disastroso ci ha regalato delle giornate splendide, con tramonti impagabili e un mare con un ‘gran carattere’. Eravamo in 17 (attori compresi) ed è stato estenuante ma bellissimo. Praticamente tutti sono tornati a casa con l’influenza (me compreso), distrutti dalla fatica ma credo, se posso parlare per tutti, con un’emozione da ricordare.
La postproduzione è stata mooolto più semplice. In casa ho tutto quello che serve per montare in full hd non compresso e nel giro di una settimana avevo la prima stesura del corto. Ventiquattro minuti! Mannaggia tantissimo! Imperativo: tagliare. E così passano le settimane: curando dettagli, sistemando la recitazione degli attori, scovando cose dimenticate nel girato, ecc… Il 13 dicembre il rough cut era pronto (con tanto di doppiaggi fatti) per essere spedito ai festival. Il 15 c’erano un sacco di scadenze in giro per il mondo. Così ho spedito. E, nel giro di qualche giorno, sono arrivato a 25 spedizioni. 4 continenti. Eleonora aveva preparato delle musiche provvisorie che sono state mixate stereo dal Gaber. Ma c’era ancora molto da fare e il Natale, con tutte le sue feste e trasferte, ci ha bloccato. Ci siamo rimessi in pista a metà gennaio cercando di dare corpo alle musiche, di renderle al meglio possibile. Eleonora ci ha dato dentro di brutto e quello che ne è venuto fuori è un mondo fatto di carillon e atmosfere nere, ma anche di speranza e azione.
Così, il 29 gennaio sono partito per Milano con un orrido volo Ryanair (mai più) dall’orrido aeroporto di Ciampino alla volta del mix. E che mix! Cinquepuntouno! Siamo stati quattro giorni chiusi nella regia dello studio su una session di Pro Tools che aveva dell’incredibile, il Gaber è proprio un mago! Il 2 febbraio sono tornato a roma con il mix fatto. Ovviamente, testandolo su altri impianti abbiamo scovato qualche noia ma nulla che, con qualche ora di lavoro, non si possa sistemare.
Oggi è un grande giorno, quello che aspettavo da agosto. E’ il giorno della color correction. Per quanto mi riguarda è la lavorazione più bella. Adoro stare sul DaVinci (2k) e vedere come quella macchina meravigliosa sia in grado di trasformare le tue immagini… è una magia!
Vado. E’ ora.
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Finalmente ho deciso. Lo faccio. Questo è il momento. Ci ho pensato tanto e tante volte ci sono arrivato vicino ma spesse volte sono stato preso dagli eventi. O dalla pigrizia. Perchè no? Anche dall’imbarazzo… Che cosa posso scrivere di così interessante all’interno di un blog? Che cosa spingerebbe qualcuno a leggere le mie cartoline cinematografiche? Ma soprattutto, con tutta franchezza: voglio veramente che qualcuno legga ciò che mi passa per la testa? Sono domande a cui risponderò strada facendo. Per ora ho deciso di tirare su la serranda e aprire la mia macelleria con specialità cinefile. 
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