- Words by: Piotr
- 14 Settembre 2009
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Be happy with what you have to be happy with.
Regia. Cos’è la regia? A livello elementare è la gestione del tempo in funzione dello spazio: quando, dove e come far accadere un evento all’interno di una scena. Da sempre ho approcciato in maniera tecnica al mondo del cinema (e surrogati). La mia esperienza sul set ma soprattutto in post ha formato una coscienza tecnica che mi ha permesso di sviluppare un mio linguaggio narrativo (che esso piaccia o meno). Quindi ho aggiunto, alla gestione del tempo, un livello estetico decidendo che le mie storie sarebbero state raccontate in quella maniera. In linea di massima, per un regista di spot, videoclip e documentari, oltre alle idee, sono sufficienti questi due livelli. Una band può e deve recitare bene per essere credibile nei suoi videoclip ma alla fine, senza audio in presa diretta, e con tre minuti a disposizione è difficile far sublimare delle emozioni da un prodotto del genere. Se non a livello puramente estetico. Stesso discorso per lo spot anche se il linguaggio è differente e preconfezionato.
Quest’anno sono stato per la prima volta al Festival di Cannes. Ho iscritto Camille allo Short Film Corner e sono partito. Cannes è il festival più grande d’Europa, non tanto per il lato puramente cinematografico ma soprattutto per quanto riguarda gli affari. Qui infatti il lato fieristico è estremamente preponderante. Ogni Nazione, ogni film commission, ogni casa di produzione ha uno stand, come al Salone del mobile di Milano, e vende i suoi prodotti che, invece essere sedie e sgabelli, sono film, documentari e qualche cortometraggio. Il meccanismo è il seguente. Ogni filmmaker che approda a Cannes, oltre a vivere di aperitivi sulla spiaggia sponsorizzati ogni giorno da qualche paese, è alla spasmodica ricerca di uno strano essere, dai tratti mitologici: il buyer. Colui che compra. Ho visto filmmaker io, che voi umani non potete nemmeno immaginare… Gente totalmente invasata alla ricerca di qualche compratore per il proprio cortometraggio. Prezzo di mercato fra i 500 e i 1500 euro. Sia per corti ‘no budget’ che per produzioni mainstream. Ridicolo, non trovate? Con quella cifra mi sarei giusto giusto ripagato la vacanza in terra di Francia… Per cui, parliamoci chiaro, per i corti non c’è nessun tipo di mercato che valga la pena essere sfruttato. I corti vanno fatti per mettersi alla prova e trovare contatti. A Cannes il mercato è ben altro. E lo si vede dalla rada di fronte all’obrobrioso palazzo del cinema. Una schiera di yacht milionari a perdita d’occhio, inaccessibili ai più e sui quali vengono prese le decisioni importanti. E imbandite le feste più esclusive. Io mi sono accontentato degli aperitivi in riva al mare che non richiedevano abito da sera e ai quali ho preso un po’ di contatti con festival stranieri ai quali spedirò Camille. Peccato che mi ci sia voluto un po’ per capire come funzionava il meccanismo. Ne faccio tesoro per le prossime edizioni alle quali arriverò più preparato. Ero abituato alla Mostra del Cinema di Venezia, che ho frequentato per otto edizioni consecutive, un festival totalmente incentrato sulla programmazione, dove la parte di mercato è rinchiusa in una saletta del Casinò. A Venezia si va per vedere i film, anche sei al giorno, a Cannes di film non ne ho visto nemmeno uno…
A dicembre 2008 ho iscritto il rough cut di Camille ad alcuni festival in giro per il mondo, soprattutto negli Stati Uniti sfruttando il network di Withoutabox. Poi, visto che abito a Roma, ho pensato di iscriverlo anche al R.I.F.F., festival che, per altro, conoscevo poco. Ho fatto un po’ di ricerche in rete consultando i corti vincitori delle passate edizioni e constatando che Camille non avrebbe affatto sfigurato nella rassegna romana. Arrivano i giorni delle pubblicazioni dei corti selezionati e nessuno dell’organizzazione si premura di avvertire che… non sono stato selezionato. Vabbè… può capitare, del resto la versione sottoposta alla selezione era abbastanza lontana da quella definitiva e più di tanto non ci dò peso. Questo pomeriggio, però, mi capita di guardare su YouTube il corto vincitore (stra-vincitore) dell’edizione 2009. Si intitola “Nero apparente” e il regista è un ‘ragazzo’ di 46 anni che si chiama Giuseppe Pizzo, poliziotto di origini casertane ma trapiantato a Roma. L’intento del corto è nobile e quanto mai contemporaneo, niente da dire. Si vede che è fatto con un budget bassissimo e con amore. Ma, detto questo, mi sorge spontanea una domanda: un festival che si occupa di cinema può premiare un’opera che ha il solo valore di avere una buona idea centrale tralasciando completamente la parte riguardante il linguaggio cinematografico? Può un festival dimenticarsi che il cinema è un’arte complessa fatta di sceneggiatura, fotografia, recitazione ed emozione? No, non credo che il RIFF possa permettersi di snobbare elementi del genere. Penso invece che non sia più in grado di giudicare. Penso che chi ha fatto la selezione sia assuefatto da un codice visivo che non appartiene al mondo del Cinema ma ad un surrogato di Tv e Web. “Nero Apparente”, con tutto il rispetto che ho per i filmmaker che cercano di mettersi in vista, dal punto di vista della grammatica cinematografica è veramente scadente. La sceneggiatura, sempre che ce ne fosse stata una, è slegata e con eventi incomprensibili. La continuità delle scene è rocambolesca, la recitazione degli attori pressochè scolastica. La fotografia, al di là della classica color correction desaturata (molti neri e molti bianchi) non c’è. Il montaggio, non avendo materiale di supporto, soffre di conseguenza. Ma non voglio infierire sul regista, questo post non è sul suo corto. E’ sul RIFF. In Italia c’è bisogno di festival che rivalutino veramente “l’arte cinematografica” a partire dal suo linguaggio. Un buon film contiene più livelli narrativi, ne ha uno legato alla storia, uno legato alla, sceneggiatura, uno per gli attori, uno per le musiche e uno per le inquadrature. Nessuno di questi livelli può essere più importante di altri, sono tutti ugualmente importanti e imprescindibili. Dovrebbero essere premiati i filmmaker che veramente si cimentano col linguaggio, anche in forma classica. Non basta una camera digitale che traballa per dire di aver fatto un film… Non basta raccontare una storia, seppur importante, per dire di aver fatto un film… Caro RIFF, è ora che ricominci dai fondamentali, dalle basi della cinematografia. Ci sono tanti manuali in libreria sul cinema… forse è il caso che chi si occupa della selezione esca a comprarsene qualcuno, magari per la prossima edizione è riuscito pure a leggerlo.