Be happy with what you have to be happy with.

logo


A dicembre 2008 ho iscritto il rough cut di Camille ad alcuni festival in giro per il mondo, soprattutto negli Stati Uniti sfruttando il network di Withoutabox. Poi, visto che abito a Roma, ho pensato di iscriverlo anche al R.I.F.F., festival che, per altro, conoscevo poco. Ho fatto un po’ di ricerche in rete consultando i corti vincitori delle passate edizioni e constatando che Camille non avrebbe affatto sfigurato nella rassegna romana. Arrivano i giorni delle pubblicazioni dei corti selezionati e nessuno dell’organizzazione si premura di avvertire che… non sono stato selezionato. Vabbè… può capitare, del resto la versione sottoposta alla selezione era abbastanza lontana da quella definitiva e più di tanto non ci dò peso. Questo pomeriggio, però, mi capita di guardare su YouTube il corto vincitore (stra-vincitore) dell’edizione 2009. Si intitola “Nero apparente” e il regista è un ‘ragazzo’ di 46 anni che si chiama Giuseppe Pizzo, poliziotto di origini casertane ma trapiantato a Roma. L’intento del corto è nobile e quanto mai contemporaneo, niente da dire. Si vede che è fatto con un budget bassissimo e con amore. Ma, detto questo, mi sorge spontanea una domanda: un festival che si occupa di cinema può premiare un’opera che ha il solo valore di avere una buona idea centrale tralasciando completamente la parte riguardante il linguaggio cinematografico? Può un festival dimenticarsi che il cinema è un’arte complessa fatta di sceneggiatura, fotografia, recitazione ed emozione? No, non credo che il RIFF possa permettersi di snobbare elementi del genere. Penso invece che non sia più in grado di giudicare. Penso che chi ha fatto la selezione sia assuefatto da un codice visivo che non appartiene al mondo del Cinema ma ad un surrogato di Tv e Web. “Nero Apparente”, con tutto il rispetto che ho per i filmmaker che cercano di mettersi in vista, dal punto di vista della grammatica cinematografica è veramente scadente. La sceneggiatura, sempre che ce ne fosse stata una, è slegata e con eventi incomprensibili. La continuità delle scene è rocambolesca, la recitazione degli attori pressochè scolastica. La fotografia, al di là della classica color correction desaturata (molti neri e molti bianchi) non c’è. Il montaggio, non avendo materiale di supporto, soffre di conseguenza. Ma non voglio infierire sul regista, questo post non è sul suo corto. E’ sul RIFF. In Italia c’è bisogno di festival che rivalutino veramente “l’arte cinematografica” a partire dal suo linguaggio. Un buon film contiene più livelli narrativi, ne ha uno legato alla storia, uno legato alla, sceneggiatura, uno per gli attori, uno per le musiche e uno per le inquadrature. Nessuno di questi livelli può essere più importante di altri, sono tutti ugualmente importanti e imprescindibili. Dovrebbero essere premiati i filmmaker che veramente si cimentano col linguaggio, anche in forma classica. Non basta una camera digitale che traballa per dire di aver fatto un film… Non basta raccontare una storia, seppur importante, per dire di aver fatto un film… Caro RIFF, è ora che ricominci dai fondamentali, dalle basi della cinematografia. Ci sono tanti manuali in libreria sul cinema… forse è il caso che chi si occupa della selezione esca a comprarsene qualcuno, magari per la prossima edizione è riuscito pure a leggerlo.

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail