Be happy with what you have to be happy with.

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“The social network” un film che non parla d’amore. E questo è poco ma sicuro. Ma cominciamo dall’inizio. Cinema King, sala 1, proiezione, al solito fuori fuoco, 2 gatti in sala.

TSN racconta la storia vera (o romanzata) della genesi di Facebook, attraverso le esperienze di Mark Zuckerberg, suo ideatore e fondatore che, per colpa o grazie ad una delusione d’amore e al suo genio, crea il più grande sito di condivisione del mondo ossia Facebook.

Tutto parte dal campus di Harvard, qui, il classico patriottismo americano, ci fa notare, tanto al chilo, quanti premi Nobel, quanti Pulitzer, l’università abbia sfornato e si dipana verso il successo del gruppo di lavoro di Zuckerberg, interpretato fin troppo bene da Jesse Eisenberg. In ogni caso il dipinto dei ventenni americani che si possono permettere di frequentare Harvard non è certo dei migliori. Grandi bevute, grandi scopate, grandi pippate, tutte cose già viste.

Tutto bene e tutti amici finchè non ci sono i soldi (tanti) in ballo. Zuckerberg infatti, apparentemente non legato al successo monetario ma solo a quello ‘tecnologico’, come nella migliore favola disneyana, ad un certo punto si trova ad estromettere uno dei soci fondatori e suo migliore (ed unico) amico che, suo malgrado, ‘aveva letto male il contratto’. Il suo ex-amico gli fa causa. Contemporaneamente due bellimbusti che avevano cercato di assoldare Mark per scrivere il codice di un social network, lo citano per appropriazione indebita di proprietà intellettuale.

Le fondamenta della sceneggiatura sono basate sulle due deposizioni che accuse e difesa mettono in atto per arrivare ad una transazione fra le parti. Si svolgono in due luoghi diversi e vedono contrapposti Zuckerberg da una parte al suo migliore amico e dall’altra ai due bellimbusti. Il montaggio è alternato fra le due deposizioni e le conseguenti ricostruzioni. Lo script ha un ritmo da rave party e, per chi non ha una certa nozionistica di base di informatica e networking, potrà sembrare che si parli di marziani. La scrittura non si ferma un attimo, è assordante ma non esagerata, e non è assolutamente casuale. Facebook è nato appena 7 anni fa ed oggi è una public company che vale 25 miliardi di dollari. Raccontarne l’ascesa non poteva che sottostare a regole di ritmo e vivacità.

Fincher firma col sangue una regia ficcante e decisa. Sottolinea, a sua volta, la velocità con la quale le ‘amicizie’ si fanno e si disfano all’interno di Facebook. Non è una regia compiaciuta, è quasi da film indipendente, tanta camera a spalla, molto addosso ai protagonisti, senza mai sbrodolare, come sarebbe facile, in ritratti manieristici. Fa un grande uso, della musica firmata da Trent Treznor, che rispolvera il Juno 60 e il Nord Lead e si posiziona fra la techno e l’elettropop, buttando, qua e là, qualche pennellata di new wave. Coinvolgente, non c’è che dire, appena tornato a casa l’ho subito scaricata da iTunes. Assolutamente da sottolineare la strepitosa sequenza quasi onirica della gara di canottaggio in cui la musica (che riprende in chiave trance giapponese il tema di Edvard Grieg   ”In the Hall of the Mountain King”) e le immagini abbandonano il linguaggio corrente e si tuffano nell’estro puro. Un tuffo nella follia che aggiunge dove parrebbe impossibile aggiungere ancora.

Cosa manca in tutto questo pacchetto? L’amore appunto. Zuckerberg è solo per tutto il film. Lui, il fondatore di Facebook, ha un solo amico (troppo facile?). E nel corso del film perderà anche quello. La ragazza di cui era innamorato l’ha piantato e non riesce a dimenticarla. Appare timido il ragazzo, quel tipo di timidezza che porta un po’ all’autocommiserazione e un po’ all’aggressività. Non accetta mai di aver fatto degli errori e non si capacita di come gli altri, interessati solo ai suoi soldi, possano andare contro di lui che… in fondo in fondo… ama. Il finale melodrammatico e lento ci sta tutto. Il film chiude così come apre, a specchio, come se l’inizio e la fine fossero fuori dalla parentesi supersonica del resto della storia. Chiude con la lentezza di una persona sola… e cosa c’è di più lento che una persona sola?

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