Ieri sera sono andato a vedere Videocracy. Roma, cinema King, sala 2, proiezione fuori fuoco… come sempre. Sala piena, un sacco di gente mormorante. Grandi aspettative. Il documentario è un collage di materiale di repertorio e interviste. Il voice over del regista accompagna la narrazione.
I temi sono più che mai attuali: tette, culi e Silvio Berlusconi.
In realtà niente di particolarmente nuovo o sconvolgente per chi, come me, utilizza (anche) l’informazione alternativa. Berlusconi e le televisioni. Berlusconi e i giornali. Le veline. I tronisti. Le troie. I puttanieri. Il mondo dello spettacolo italiano come modello a delinquere per intere generazioni di giovani senza strumenti culturali per difendersi. Spesso senza nemmeno prospettive. Ciò che ne esce è una società di ‘wannabe’, cioè di persone che vorrebbero essere, o meglio, apparire (in tv) per dimostrare di essere. L’assunto è che non esisti se non appari in tv. Ma questa, come detto, non è una verità, per quanto inquietante, particolarmente originale.
Gandini utilizza alcuni testimonial per raccontare questa perversa pinacoteca degli orrori. Nel viaggio siamo accompagnati da gentaglia quale Lele Mora, reo confesso mussoliniano e Fabrizio Corona, padre di famiglia, ebbene sì. Memorabile il piano sequenza sul telefonino del primo che riproduce ‘faccetta nera’ con tanto di video con vessilli nazi-fascisti e che termina con il proprietario che chiede ingenuamente: “Carino, no?”. Il grande paparazzo tuttofare invece appare più pornostar che mai, con tanto di scena di nudo con massaggio al regale pisello (per onor di cronaca tendente a destra), e dal pulpito della sua gretta ignoranza straparla come un messia strafatto di crack.
Ma in questo mare di triste e grottesca realtà c’è qualcosa che mi ha molto colpito in questo documentario. Ed è il regista. Gandini dimostra una grande consapevolezza del mezzo. Sa narrare, sa far riflettere, sa far ridere e sa spaventare. Sì, spaventare. Perchè Videocracy è, a mio avviso, il primo documentario horror della storia del cinema. Il linguaggio utilizzato è molto originale e appartiene più al cinema che al mondo dei documentari. La regia è intrigante e puntuale, mi piace molto perchè si prende delle pause, dei momenti in cui il dramma raccontato è più che mai presente e visibile, quasi imbarazzante. Le musiche e il sound design, abbondanti ma non barocchi, contribuiscono alla tensione. Tensione vera. Ansia.
Bravo Erik Gandini. Un bravo cineasta. L’unica mia perplessità generale è che questo finirà per essere l’ennesimo documentario ‘inutile’ ai fini della stessa causa che perpetra perchè, ormai, troppo si è detto e raccontato su Silvio Berlusconi. Al punto tale che la sua figura, così come quella degli altri personaggi del documentario, si ciba del letame che gli viene tirato addosso, come i maiali di orwelliana memoria. Più la critica è forte, più il rapporto con la massa teledipendente si salda. Più fa schifo e più piace. Come la pornografia estrema. Perchè c’è un po’ di Silvio Berlusconi in tutti gli italiani. E a chi non piace il porno alzi la mano…
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- Words by: Piotr
- 7 Settembre 2009
- Tagged: Cinema, recensione
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Il Diàul
Posted: 9 Settembre 2009
Il linguaggio di Gandini è certamente la cosa più riuscita del film. Anche a me è piaciuto molto il commento musicale, che ottiene un bell'effetto di détournement rispetto alle immagini messe in scena. L'analisi della "videocrazia" in sé stessa è povera e tutto sommato abbastanza stereotipata: se rivoluzione culturale c'è stata non riguarda solo i Lelemori o i Coroni di turno, purtroppo.