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Regia. Cos’è la regia? A livello elementare è la gestione del tempo in funzione dello spazio: quando, dove e come far accadere un evento all’interno di una scena. Da sempre ho approcciato in maniera tecnica al mondo del cinema (e surrogati). La mia esperienza sul set ma soprattutto in post ha formato una coscienza tecnica che mi ha permesso di sviluppare un mio linguaggio narrativo (che esso piaccia o meno). Quindi ho aggiunto, alla gestione del tempo, un livello estetico decidendo che le mie storie sarebbero state raccontate in quella maniera. In linea di massima, per un regista di spot, videoclip e documentari, oltre alle idee, sono sufficienti questi due livelli. Una band può e deve recitare bene per essere credibile nei suoi videoclip ma alla fine, senza audio in presa diretta, e con tre minuti a disposizione è difficile far sublimare delle emozioni da un prodotto del genere. Se non a livello puramente estetico. Stesso discorso per lo spot anche se il linguaggio è differente e preconfezionato.

Le cose cambiano quando invece c’è una storia da raccontare. Le storie dovrebbero nascere tutte da un’esigenza narrativa irresistibile che preme sullo stomaco dell’autore e che porta a scrivere, innanzitutto, e poi a realizzare. Camille in questo senso mi ha dato una grossa visione d’insieme del lavoro del regista cinematografico. E ne parlo con tutta l’umiltà del mondo. Diciamo che dal punto di vista della sceneggiatura non ho scoperto cose nuove, scrivendo già da diversi anni non mi sono trovato di fronte a grosse novità. Certo, sicuramente non si finisce mai di imparare ma scrivere un corto dopo aver scritto lunghi per anni, non è certo un’esperienza illuminante (io odio i corti – tanto per capirsi ). Dal punto di vista della direzione tecnica formale ho messo in pratica tutto quello che ho imparato in dieci anni di carriera e sono molto contento dei risultato ottenuto, diciamo che lo spazio e il tempo sono stati gestiti in maniera corretta, non mi sono inventato nulla di nuovo per non strafare, ho solo messo in pratica i fondamentali. Ma girare Camille mi ha aperto gli occhi su una cosa. Che non c’è tecnica, non c’è fotografia, non c’è scenografia, location, musiche che tengano: il film è fatto solo dagli attori. E da come vengono diretti.
Dopo aver finito il lavoro mi sono reso conto che in alcuni punti le intenzioni degli attori non sono state quelle giuste. Sul set, in particolare in una scena fondamentale per lo sviluppo tensivo della storia, non sono stato in grado di trasmettere all’attrice quello che volevo. Lei magari era pensierosa, distratta. Ma è proprio in queste situazione che il ‘manico’ di un regista dovrebbe venire fuori, aiutando l’attore a ritrovare la concentrazione e, di conseguenza, il personaggio. Sì, il personaggio: ho capito che l’unica cosa sulla quale vale veramente la pena focalizzare è proprio questa. Non l’avevo capito. Ahimè.
Così, per farla breve, ho deciso che, per comprendere veramente cos’è un attore, cos’è un personaggio, sarebbe stato il caso di diventare io stesso un attore, un personaggio. Ho pensato che fosse di vitale importanza riuscire a capire cosa muove le emozioni all’interno di un essere umano attore. E così, grazie alle preziose ricerche di mia moglie, ho conosciuto Beatrice Bracco.
Beatrice è una delle più importanti acting coach che operano in Italia, forse in Europa. Di origine argentina ma da tanti anni nel nostro paese ha aperto una scuola ed ha formato attori dal talento eccezionale quali Kim Rossi Stuart o Claudio Santamaria tanto per citarne alcuni.
Ho frequentato, per ora, due seminari. Tre più cinque giorni. Sicuramente non ho imparato a recitare. Quello che ho capito invece è che ognuno, dentro di sé, ha tutto quel che serve per diventare un grande attore. Beatrice mi ha rivoltato come un calzino, e c’è un Piero prima, ed un Piero dopo. “Visitare un personaggio a tale profondità da conferirgli la vita”. Questo è quello che fa Beatrice. E parte, innanzitutto, dalla conoscenza di se stessi. Io mi sono sempre ritenuto un uomo di scienza. Uno razionale e pragmatico. Miscredente e senza dio. Eppure, ho vissuto delle esperienze, sensoriali e mentali, al di là di quello che io potessi solo immaginare. Ed ho fatto solo pochi passi di un processo lungo e difficile. Ho vissuto momenti di estrema libertà, indimenticabili. In mezzo a sconosciuti mi sono liberato. Ed ho pianto. Dopo vent’anni e più che non versavo nemmeno una lacrima. Chiamalo Stanislavskij, chiamalo Strasberg… fattostà che è stato talmente lampante il fatto di aver scoperto e cominciato a conoscere un mondo nuovo, che ho deciso che questo mio percorso di formazione non potesse che continuare. Vorrei riuscire ad assumere una sicurezza tale che mi porti ad interfacciarmi con gli attori in maniera conscia e libera. Conoscendo loro, conoscendo cosa muove il loro intimo, posso capire come far sviluppare i loro personaggi. Che è tutto. Da ora in poi mi concentrerò in maniera completamente diversa sul set. Il mio lavoro sarà per la quasi totalità sui personaggi. Un film si può fare con cento milioni di dollari o con mille. L’unica differenza la fanno i personaggi che gli attori portano davanti alla cinepresa. Il resto si può dire che sia quasi superfluo.
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