Ieri pomeriggio sono andato a vedere Cosmonauta. Cinema Jolly, sala 2, Roma. Proiezione a fuoco ma trapezoidale, sedili annichilenti, schermo alle stelle.
Il film, ambientato a cavallo fra i ’50 e i ’60 racconta la storia di Luciana, giovane promessa di un circolo del Partito Comunista, che lancia l’idea di sfruttare la passione del fratello Arturo per i viaggi spaziali sovietici, come campagna pubblicitaria per le prossime elezioni politiche. La sua proposta piace ma viene attribuita ad un altro e lei decide che è giunta l’ora di rivendicare la posizione delle donne all’interno di tutto l’ordinamento comunista mondiale. Cosa che non viene apprezzata e la ragazza finisce isolata e tendenzialmente incazzata. Poi c’è un pizzico di storia d’amore, qualche momento di ilarità, e un terzo atto drammaticheggiante.
Che dire… dopo la pioggia di applausi ricevuti a Venezia mi aspettavo veramente un film con un po’ di pancia in più. Ed invece diciamo che sono rimasto quasi deluso.
Il film parte molto bene, il primo atto è ben strutturato, i personaggi sono chiari e le tematiche originali. Tutto fila liscio, è piacevole e scorrevole. Poi succede qualcosa… Il film nel secondo atto, comincia a marcire (parola grossa, esagerata, ma per rendere l’idea). E marcisce, a mio avviso, assieme alla protagonista. Il personaggio di Luciana infatti, piano piano, si perde… ma non in maniera chiara, logica. Diventa proprio un altro! Non si capisce più. Da sognatrice diventa… stronza, piatta, abulica! Questo, al di là di tutto, fa perdere empatia nei suoi confronti e allontana lo spettatore dalla sue vicende che, lentamente, perdono di profondità e magia. Capisco che la protagonista sia un’adolescente in preda ad ormoni e solitudine ma ciò non giustifica un cambio così radicale di comportamento. Questo è un lampante difetto di sceneggiatura, ahimè. Ma, purtroppo, non è il solo… e su questo secondo punto sento puzza di taglio. Alla protagonista, ad un certo punto, dopo che la sua passione per il comunismo e l’Unione Sovietica è stata palesata, viene proposto di andare a Mosca con una delegazione di donne del partito italiano. Lei ovviamente è felicissima della proposta ma poi, mezz’ora dopo, quando ormai ci si era quasi dimenticati della cosa, il tutto si risolve in una scenetta molto banale in cui, dopo alcune peripezie di Luciana, una dirigente del partito (la regista – ndr) le dice che qualcun’altra aveva preso il suo posto. Ecco… se a me, a quindici anni avessero regalato un sogno e poi qualcuno me l’avesse tolto all’improvviso, mi sarei come minimo scatenato e avrei spaccato tutto ma soprattutto avrei sofferto come un cane. Luciana non reagisce minimamente alla cosa se non in una scena molto fisica in cui entra di nascosto nella sede del partito con una spranga… ma 5 minuti dopo fa l’amore con un ragazzo proprio dentro la sede. Beh… veramente poca cosa di fronte ad un sogno distrutto. La regia, in tutto questo, non aiuta. Non entra mai ‘dentro’ alla protagonista, non la fa conoscere, i primi piani sono rari così come sono rari i movimenti di macchina. Non sono mai riuscito a conoscere i protagonisti. Tranne uno forse, quello scritto meglio, Arturo, aiutato da un bravissimo attore esordiente, Pietro Del Giudice, che riesce veramente ad emozionare.
Emozionare sì. Questa dovrebbe essere la chiave. E il film, nel momento in cui dovrebbe farlo, nel terzo atto, quando il dramma si palesa, non riesce ad essere drammatico fino in fondo, proprio perchè della protagonista si sono perse le tracce e, di conseguenza, l’empatia è sparita.
Tagli, tagli, sento una puzza nauseabonda di tagli.
6 sulla fiducia alla Nicchiarelli, il film non è sbagliato, per l’amor del cielo! Ma, sinceramente, non credo che si sia scoperto un nuovo talento. E il rumore generato a Venezia è, a mio avviso, ingiustificato. La macchina da presa non osa MAI, rimane sempre in disparte, racconta una storia quasi priva di linee verticali (riuscendo comunque a confondere) con molta asetticità e senza mai sfruttare a fondo il mezzo. Peccato!